sabato 30 gennaio 2010

Il morto si lavora da vivo


Il defunto si cura non da morto ma da vivo. È una delle verità rivelate in una inchiesta pubblicata sul sito internet de “Il Giornale" dal titolo «Funerali, un racket da 500 milioni». Il servizio è firmato da Enrico Silvestri. Vi invitiamo a leggerlo dalla prima all'ultima parola per farvi un’idea di come la triste realtà funebre faccia guadagnare tanti professionisti e non solo gli addetti ai lavori. Scrive nel suo incipit il giornalista Enrico Silvestri: “Non solo infermieri e addetti agli obitori pronti a segnalare il decesso tempestivamente all’impresa di onoranze funebri, che poi li ripagherà con laute mance, ma anche cooperative di infermieri che seguono il malato terminale e poi vestono il morto, fioristi, marmisti, carri funebri, casse, urne cinerarie. Tutto per gestire l’intera pratica dall’inizio alla fine. Anzi, prima ancora, attivandosi quando il futuro cliente è ancora in vita. Tutto per cercare di ritagliarsi la fetta più grossa di una torta enorme, difficile da quantificare ma che forse potrebbe aggirarsi intorno al mezzo miliardo.”
Il giornalista si avvale delle rivelazioni di Frediano Manzi, presidente del gruppo Sos Usura. Manzi ha denunciato molte associazioni criminali e per questo è stato puntualmente intimidito, vivendo sotto scorta. “Quello del caro estinto – denuncia Manzi a Il Giornale - è un racket vero e proprio, con fatturati da capogiro, ben strutturato, con pochi soggetti o famiglie in grado di controllare e gestire ogni singolo dettaglio. Si comincia a lavorare il morto quando è ancora in buona salute”. “Un morto – conclude - è un vero affare e soprattutto è l’unico cliente che non può lamentarsi del trattamento”. Sembra di leggere alcune pagine umoristiche del libro “Ti tocca anche se ti tocchi" di Raimondo Moncada. Nel libro c'è da ridere, ma nella realtà raccontata da Il Giornale c'è tanto da piangere.

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